Mi è stato chiesto di esprimere un parere sull’ultimo film di James Bond, Skyfall, uscito nelle sale italiane in novembre e che ha visto, per la terza volta dopo Casino Royale (2006) e Quantum of Solace (2008), l’attore britannico Daniel Craig vestire i panni del celebre agente segreto al servizio di Sua Maestà. Questo in quanto esperto in materia, visto che, oltre alla conoscenza accurata di tutte le pellicole, posso vantare anche una profonda cognizione della materia letteraria legata al personaggio creato da Ian Fleming nell’ormai lontano 1953, anno della pubblicazione del primo romanzo, Casino Royale. Forse non tutti sanno che, infatti, alla morte dello scrittore inglese, la Gildrose, la casa di produzione da lui fondata, ora Ian Flaming Pubblications, ha affidato a più scrittori il compito di proseguirne la saga. Così, negli anni, Kinglsey Amis, Christopher Wood e, soprattutto, John Gardner, autore di una quindicina di romanzi e Raymond Benson, nove romanzi piu alcuni racconti – a cui è spettato l’onere della traspsizione del personaggio, rispettivamente, negli anni Ottanta e negli anni Novanta del secolo scorso – per finire con
Sebastian Faulks e Jeffrey Deaver, autori di un romanzo ciascuno, hanno ripreso l’eredità di Fleming, cercando di adattare i propri scritti alle mutate esigenze dei lettori per mantenere I’eroe “al passo coi tempi”.
Dopo questa breve, ma doverosa digressione di carattere letterario, giungo al nocciolo della questione. Non mi basterebbe un intero saggio per dire ciò che penso in merito all’ultimo film di Bond; cercherò però qui di riassumerne brevemente i concetti base. In tanto va detto che dopo le ultime due, per me scabrose, performance, sono andato al cinema sapendo di rimanere deluso. Bondiano “purista”, a differenza della maggior parte dei profani molto più attento agli errori di continuità che non affascinato dagli effetti speciali, consideravo Casino Royale indubbiamente il film peggiore della serie. Questo prima della visione di Quantum of Solace, dopo la quale ricordo di aver pensato “non c’è limite al peggio”. Tutto ciò tanto per dare un’idea dello spirito con cui sono andato a vederlo. Al contrario delle aspettative, invece, il film mi è piaciuto, sicuramente il migliore tra quelli interpretati da Craig, da quando cioè, e questo costituisce il motivo principale del mio disappunto, gli autori hanno deciso, con Casino Royale, di dare vita a una sorta di prequel, collocando idealmente nel tempo gli ultimi tre film prima dei precedenti venti, infischiandosene altamente del fatto che, tanto per cominciare, è assurdo pensare come apparecchi ipertecnologici tipici del presente possano essere esistiti prima di quelli apparsi nei primi film degli anni Sessanta. Giungendo poi anche a fare lo sforzo immaginativo di ammettere che uno “sfondo”, per così dire, da anni Duemila, possa precedere quello in cui sono state ambientate le avventure precedenti, sono stati gli errori di continuità a non farmi digerire il resto della questione. Mi spiego: stando ai film, che solo parzialmente mettono in scena le storie raccontate nei libri, James Bond conosce l’agente della CIA Felix Leiter già nel corso del primo, Dr. No (1962), uscito in Italia con il titolo di Licenza di Uccidere; costituisce quindi un grave errore di continuità, nonché un ottimo esempio di quanto possa rappresentare al meglio l’essenza del significato di questa locuzione, mostrare in Casino Royale come i due agenti segreti si conoscano ex novo. Questo un fan accanito come me non può proprio sopportarlo.
Bene, nell’ultimo film non compaiono aberrazioni di tal genere (se escludiamo la fine), anzi, per la gioia mia e di tutti gli appassionati, sono molti i richiami coni il passato. Lo avrei anche collocato trai i primi dieci in un’ipotetica graduatoria di tutti i film, non fosse per il finale, in cui si è voluto mettere in scena il momento in cui 007 si presenta per la prima volta a quella che diventerà la sua segretaria di sempre: Miss Moneypenny. L’errore qua sta nel fatto che prima, nel corso della stesso film, lo spettatore è indotto a credere che i due possano aver trascorso una notte di sesso. Anche se non esplicitamente rappresentata, il solo fatto di lasciare all’immaginazione del pubblico che questa possa aver avuto luogo va a scontrarsi con quello che è uno degli elementi ricorrenti e immutabili dei film, al pari della stessa invincibilità di Bond: il rapporto fraterno che questi ha con la sua segretaria.
Mi chiedo perché vengano commessi errori di tale entità, soprattutto in considerazione del fatto che li ritengo evitabilissimi. Al di là di questo fatto, il film, ripeto, è valido e pone le basi perché i successivi, che vedranno ancora Craig nei panni di 007, possano essere ancora migliori.
Magari nei prossimi rivedremo una scena finale in cui James Bond si intrattiene in atteggiamenti amorosi con la Bond girl di turno, altro cult ricorrente in tutti gli altri film (ad eccezione di Al servizio segreto di Sua Maestà, del 1969, in cui Tracy Di Vincenzo, interpretata da Diana Rigg, viene uccisa da una raffica di mitra poche ore dopo aver sposato 007) che è stato eluso negli ultimi tre. Suscitando la ovvia disapprovazione dei veri fan, dei quali mi sento parte.
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